Il gruppo di Copenaghen sul quale mesi fa (precisamente in quel di gennaio 2003) avevo puntato forte, piazzandoli alla first-position della mia playlist 2003 arrivano finalmente in Italia, oggi come allora nel disinteresse generale, perchè questa è la realtà purtroppo; non se ne trova quadi traccia nei magazine o nei siti specializzati. Di tempo dall’uscita di “Zitilities” ne è passato eppure nessuno se ne è accupato in maniera concreta, oltre qualche riga di routine e nulla più. Il Mitivo di questo disinteresse è difficile da comprendere visto che il disco suona bene, anzi benissimo. I riferimenti al lavoro sono lampanti (i Radiohead di Ok Computer su tutti) non lo appesantiscono; restano sullo sfondo sono soltanto dei punti cardinali. I Kashmir possono contare su quasi dieci anni di carriera alle spalle, ben quattro album tutti usciti in patria (con altrettanti “grammy” e dischi di platino) e una maturità artistica ormai compiuta. Con questo “Zitilities” (City-lights, Luci della città) che vede la collaborazione di John Cornfield, l’ex produttore di Stone Roses, Supergrass e Muse, sono pronti per uscire dai confini scandinavi e tentare la fortuna. La loro è una musica di ambienti e di immagini che si muovono lente nell’incedere, soffuse, sfumate per poi esplodere improvvisamente, vedi “Melpomene” e “Petite machine” ma anche in grado di presentare un anima riflessiva e cantautorale “The aftermath” , “Ruby over diamonds” e “In the sand” dove il pianoforte e la voce creano una dimensione quasi acustica. Concludo mensionado la loro piu famosa “Rocket brothers” una canzone che rende al meglio tra chitarre in aroeggi, archi e piano la semplicità e la bellezza di questa musica, che mai annoia, e mai stanca. Ora che dei Kashmir ne abbiano finalmente parlato, non resta che andarli a vedere in concerto.
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