Per il sig. Rouse doveva essere l’album della verità. Dopo l’ottima impressione destata da “1972”, si attendeva come si dice in questi casi l’album della maturità e se a questo si aggiunge come “Nashville” coincida anche con la cartolina di addio verso la città che lo ha ospitato per ben dieci anni, se ne può ancora di più apprezzare la qualità. Nashville da sempre capitale della musica country, non coincide in questo album con la “Nashville” di Rouse dove al contrario non se ne intravede quasi traccia, e dove invece trova posto un folk-pop raffinato fatto spesso da chitarre acustiche da spazi dilatati, di una musica in movimento continuo. “Winter in the Hamptons” la perfetta song da viaggio con quelle armonie semplici e quegli arpeggi che sembrano stregati per come si fissano in mente, sulla stessa scia la danzante “Carolina”, e “Middle school frown” con quella voce roca che ricorda tanto il classic-folk di stampo dylaniano. Ottima la prova anche dove si scende su toni più posati e riflessivi “Saturday” e sugli onirici violini di “Streetlights”. Il voto più alto lo merita la malinconica quanto sontuosa “Sad eyes”, ballata dove ad un incipit tutto voce e pianoforte si fa largo un’inattesa e solare sinfonia di violini e cori. Al sig. Rouse complimenti, ancora una volta.
Josh Rouse – Nashville
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