Partendo dal singolo “Love Is Noise” che ha anticipato di qualche settimana l’uscita di “Forth” si erano create legittime attese di un ritorno ai suoni e alle atmosfere del Britpop di “Urban Hymns“. Niente di più falso. La reunion dei Verve, dopo 11 anni, porta in dote un album che è più rock che pop; più psichedelico che melodico; lontano in forma e sostanza dai territori ormai consumati del mainstream. britannico. L’apertura dell’opera con “Sit and Wonder” è spigolosa e acida, intensa e tirata effusione di chitarre, accompagnata da una base ritmica pressante. Sempre sull’onda del ritrovato amore per brani lunghi e di articolata esplicazione, ritoviamo gli oltre otto minuti di “Epic Noise” dove psichedelia e noise sono corposamente mischiati. Ancora “Numbness” con i suoi sei minuti e trenta secondi di allucinazioni e voci tormentose. Qui termina la parte oscura dell’album. Il lato illuminato dal sole, quello in sostanza che trattiene il sottile filo con il passato, è tutto affidato a pezzi come “Valium Skies“, “Rather Be“, e “Judas“, che sanno rimanere a galla e non farsi ingoiare da nessun effetto nostalgia. I Verve di Richard Ashcroft in versione 2008, sono ancora vivi e vegeti, e con molte cose da dire. Se poi avevate puntato tutte le vostre attese in una nuova versione di “Bitter Sweet Sinphony” rimarrete delusi. In tal caso tranquilli, potrete sempre tornare sull’originale.
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